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Verzo... Roma

La sintassi

 

La sintassi non è altro che l'ordine che diamo alle parole di un periodo: in pratica, come "costruiamo" la frase mettendo una parola prima e una dopo l'altra.

Nel romanesco, la sintassi è la più semplice possibile:la cosiddetta "costruzione diretta".

In questo tipo di costruzione, le parole sono messe in ordine logico: soggetto, predicato, complementi. (es. "er cane cià la coda")

La semplicità e l'immediatezza della costruzione diretta, riflettono lo spirito popolare e non "colto" del dialetto romanesco: non ci sono forme suggerite dall'istruzione (più o meno classica) o dall'elevatezza del pensiero da esprimere: quello che il popolo romano vuole dire, lo dice con estrema semplicità, anche se si tratti di esaltare o scavare l'animo umano.

L'uso delle parole è codificato da regole non scritte ma valide e chiarissime: ogni concetto (anche se elevatissimo) deve essere espresso nella maniera più semplice e chiara.

Ad esempio: a Roma non si dirà mai "è stato morso alle mani da un grosso cane", ma "un cane grosso j'ha mozzicato le mano". Si può notare come la stessa frase riesca molto più "piana", scorrevole, meno "drammatica" di quella in lingua.

A proposito: perché a Roma non si dice "grosso cane", ma si può dire "bella regazza"?

 

Resta ancora da chiarire quale sia la ratio di alcuni rari costrutti marcati con l’aggettivo anteposto invece che posposto, del tipo: ho visto ’na bella fica ~ ho visto un cane grosso ma non ho visto ’na fica bellaho visto un grosso cane.

Si può provare ad approcciare tale questione nel seguente modo: le lingue sono sistemi altamente complessi nei quali operano e cooperano fattori di varia natura: fattori strutturali interni al sistema e fattori neurofisiologici, psicologici (emotivi e cognitivi) e sociali esterni al sistema; le strutture interne al sistema si organizzano tra loro in correlazioni simmetriche che a loro volta instaurano interrelazioni che coinvolgono tutti i suoi livelli in modo solidale ed equilibrato, malgrado la suscettibilità degli equilibri a destabilizzarsi in qualsiasi momento a seguito di mutamenti anche minimi a carico di singoli elementi; una volta innescatosi il mutamento in qualche regione del sistema, può accadere o che esso regredisca o che rimanga confinato a un elemento oppure che si estenda a tutta una correlazione.

Spero che il quadro sin qui abbozzato sia servito se non altro a sensibilizzare il lettore rispetto all’assioma fondamentale che mi stava a cuore sottolineare ossia che qualsiasi lingua o varietà di lingua è un sistema altamente complesso in cui i singoli elementi, le strutture e i livelli si organizzano ed evolvono in modo solidale; dopo aver familiarizzato con questa idea fondamentale, il lettore avrà sicuramente acquisito l’apertura mentale necessaria per tentare di spiegare sistemicamente qualsivoglia fenomeno linguistico o aspetto della grammatica (intesa qui come insieme delle strutture della lingua); fornire una spiegazione sistemica delle cose, nel nostro caso i fatti della lingua, significa mettere in relazione la struttura e le funzioni di un fenomeno con la struttura e le funzioni di altri fenomeni attinenti, ma non necessariamente omogenei e complanari. A questo punto il lettore attento avrà avvertito la sensazione di riavvicinarsi al nostro punto di partenza e riterrà forse la disquisizione sin qui condotta meno estravagante di quanto potesse parergli in esordio; ci si interrogava su quale potesse essere la ratio di alcuni rari costrutti marcati del dialetto romanesco con l’aggettivo anteposto invece che posposto, del tipo: ho visto ’na bella fica ~ ho visto un cane grosso ma non ho visto ’na fica bellaho visto un grosso cane.

La grammatica dell’italiano registra la distinzione tra gli aggettivi cosiddetti «qualificativi» o «descrittivi» e gli aggettivi cosiddetti «determinativi» o «restrittivi» o «limitativi»; gli aggettivi del primo tipo sono così chiamati perché aggiungono ulteriori informazioni al significato del sostantivo al quale sono di norma posposti senza tuttavia operarvi riduzioni (per esempio, in il ragazzo giovane l’agg. giovane non toglie alcunché al significato del sost. ragazzo); gli aggettivi del secondo tipo sono così chiamati perché determinano, restringono, limitano, riducono il significato del sostantivo al quale sono di norma preposti; appartengono a quest’ultimo tipo gli aggettivi possessivi (il mio cane), gli aggettivi dimostrativi (questo / codesto / quel cane), gli aggettivi indefiniti (qualche cane), gli aggettivi interrogativi (quale cane?), gli aggettivi esclamativi (che cane!) e gli aggettivi numerali ordinali (due cani); a questi due tipi di aggettivi corrispondono rispettivamente, tanto per le funzioni espletate quanto per la terminologia, le proposizioni relative «esplicative» o «appositive» o «aggiuntive» (per esempio, ho incontrato Marco con la cugina, che era appena tornata da un viaggio in India con la virgola) e le proposizioni relative «determinative» o «restrittive» o «limitative» (per esempio, mettiti la giacca che ti ho regalato senza virgola). Abbiamo sottolineato poco più sopra l’importanza di un approccio sistemico all’interpretazione dei cosiddetti «fatti di lingua»: mettiamo dunque in relazione la struttura e le funzioni del fenomeno in questione con la struttura e le funzioni di altri fenomeni attinenti, ma non necessariamente omogenei e complanari; il fenomeno in esame sembra essere talmente un fatto prettamente sintattico (la distribuzione o posizione dell’aggettivo rispetto al sostantivo) da indurci sulle prime a ricercarne la ratio solo a livello sintattico; abbiamo parlato a lungo della «solidarietà» e della «interdipendenza» tra gli elementi, le strutture e i livelli del sistema di una lingua, perché allora non provare a risolvere la questione cioè a spiegare l’anomalia osservata, con argomenti non necessariamente sintattici?

Proviamo a spiegare il nostro fatto sintattico con argomenti semantici e/o psicologici restituendo un adeguato rilievo al significato, ai processi cognitivi e alle emozioni!

Detto ciò, ecco, caro lettore, una risposta non sintattica al problema che ci eravamo posti in esordio: l’espressione ho visto ’na bella fica in cui l’aggettivo bella occupa la posizione prenominale tipica di un aggettivo determinativo (vd. suprā), come fosse, per esempio, un aggettivo esclamativo, sembra sottendere proprio un’esclamazione latente nella sua struttura semantica, cognitiva ed emotiva profonda, del tipo: che fica! Analogamente la seguente espressione, resa famosa da un spot pubblicitario di qualche anno fa: Non ci vuole un pennello grande, ma un grande pennello, suffraga la nostra ipotesi che la posizione prenominale dell’aggettivo sia «marcata» emotivamente più di quanto non sia la collocazione postnominale, «neutra» da questo punto di vista (un grande pennello = che pennello!).

 

Questa è la risposta "tecnica" del Prof. Claudio Porena, estremamente precisa e circostanziata, che ci consente di sapere "perché" il grosso cane a Roma non esiste, ma esistono (tante) belle fiche.

Suggeriamo a chi volesse verificare il "parlato", tenendo conto di quanto sopra esposto, di leggere, leggere e rileggere i "classici" romaneschi: solo così si potranno utilizzare al meglio le indicazioni, insite nei versi di chi il dialetto lo ha interpretato nel migliore dei modi.

 

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